domenica 25 marzo 2012

Marzo 2012: Il Valore dell'Accoglienza. A cura di Monica, Giovanni, Rosario e Sara

IL VALORE DELL'ACCOGLIENZA

PERCHE' FA PAURA LA DIVERSITA'?

Siamo tutti diversi o siamo tante sfaccettature della stessa cosa? La diversità è ovunque; dalla diversità di etnia, forse solo la più immediata, alla diversità di credo politico, di orientamento sessuale, di religione, di abilità o disabilità, di salute, di possibilità economiche.
E poi più in piccolo, nel nostro microcosmo: diversità di carattere, di desideri, di comportamento, di abbigliamento; tra colleghi, amici, compagni di associazioni, vicini di casa. Nella nostra famiglia i nostri figli sono diversi da noi. Noi stessi, in tempi diversi,  diventiamo diversi grazie a ciò che ci offre la vita. Proviamo solo per un momento a pensare a quello che ognuno di noi era dieci o venti anni fa, e misuriamo la differenza tra quello che siamo adesso.
La paura per tutto ciò che è diverso è intrinseca nella nostra natura. La continua evoluzione del nostro stesso equilibrio, può essere per molti fonte di destabilizzazione e angoscia.
In realtà, in natura, è la diversità stessa che ha permesso l'evoluzione delle specie: le continue mutazioni hanno creato delle modificazioni dinamiche permettendo così una migliore adattabilità all'ambiente e quindi la sopravvivenza delle specie e degli individui.
Tuttavia, l'instabilità che deriva dall'evoluzione non è percepita come fattore positivo, quanto e piuttosto, come una minaccia alla nostra sicurezza e stabilità. Diverso significa adattamento, significa quindi fatica e paura di non reggere la sfida del confronto. In altri termini, diverso è generalmente interpretato come aggressivo.
Questa interpretazione è sostenuta dalla continua pressione dei mass-media, che dipingono l'immigrato come clandestino, come “alieno” alla nostra cultura [che immaginiamo presuntuosamente come cultura umana di riferimento e di valore universale], fuori dal controllo della legge, invasore e arruffone dei nostri beni, alimentando a dismisura le nostre paure. Questa pressione è più forte di qualunque “campagna” pro-immigrato.
Siamo intrisi di preconcetti, per cui è lo zingaro che ruba, il borchiato un delinquente, e non ci accorgiamo che chi ci deruba veramente del nostro tempo, dei nostri soldi e dei nostri affetti è un pulito e profumato manager in giacca e cravatta. Pensiamo a Tanzi della Parmalat: il denaro da lui rubato è enormemente superiore a quello che molti nomadi arraffano nelle nostre case, ma non per questo tutti gli abitanti di Collecchio sono diventati sinomino di ladro!

Non siamo abituati, non conosciamo la diversità.
Fino a poco tempo fa era impensabile vedere un immigrato in un paesino di montagna, nell'Italia di provincia non si vedono gli omosessuali camminare per mano o darsi un bacio per strada. Anche il semplice portare un bimbo in fascia è visto come una stranezza.
Finchè non apriamo gli occhi, non apriremo mai le porte agli altri.
PERCHE' SFORZARSI DI SUPERARE LA PAURA DEL DIVERSO?
La diversità è alla base del nostro stesso esistere.
La diversità è ricchezza. Conoscere persone nuove significa aprire la nostra mente, arricchirsi culturalmente e umanamente, allargare il proprio orizzonte verso esperienze e valori che hanno una storia diversa ma ugualmente affascinante.
Accettare e comprendere la diversità nelle persone che quotidianamente possiamo incontrare ci rende più tolleranti ed empatici. E' un superamento di noi stessi, spostandoci da una posizione “al centro del mondo” ad una posizione più eccentrica, che ci consente di osservare gli altri, inizialmente con curiosità e simpatia, e poi di immedesimarci in loro.
Credo che questo atteggiamento nel cristianesimo si chiami carità.
Accogliere le diversità è quello che ci ha insegnato Cristo ed è quello che dovrebbe ricordaci la Chiesa quotidianamente.
COME AGIRE?
La famiglia è il primo luogo di accoglienza.
Il primo tipo di accoglienza che la famiglia è chiamata a vivere riguarda l’interno della famiglia stessa. Allora ospitalità nella famiglia indica l’attitudine a saper accogliere le attese, i desideri, le intuizioni del coniuge, dei figli, del genitore, vincendo il facile atteggiamento di banalizzazione o di opposizione. O, peggio, di disinteresse e indifferenza.
Si cerchi dunque un’atmosfera viva di stima e di ascolto reciproco, che permette alle persone di sentirsi amate e stimate. Educarsi reciprocamente al rispetto reciproco significa imparare ad avere il coraggio di vivere questa ospitalità nei riguardi di avvenimenti, idee, differenze di cultura. Anche all'esterno del nostro piccolo mondo quotidiano.
E' solo un passo, che prepara all'accoglienza verso l'altro. Altro che non perde, ai nostri occhi, il diritto di appartenere al mondo degli umani solo perchè non condivide la nostra cultura, il nostro credo, i nostri valori. E' a volte sinceramente stupefacente sentire la meraviglia di chi, avendo fuggevolmente e casualmente rotto la barriera che ci divide, ci confida meravigliato quanto gli altri siano simili a noi.

Ci sono molti modi per aprirsi all'accoglienza, tutti validi e impegnativi, esempi importanti per i nostri figli. Ma ce ne sono anche tanti altri molto più semplici e a portata di mano, meno impegnativi: siamo chiamati ad un’accoglienza ordinaria ma continua verso coloro con cui condividiamo il nostro tempo, non basta un “buon giorno, buona sera” per diventare prossimo agli altri e per fare comunità.
Quante volte sentiamo, parlando di un assassino, i vicini di casa dire stupiti: era una persona così per bene, salutava sempre educatamente. In questi reciproci saluti “educati” cosa c'era di veramente condiviso? Che differenza c'è nel salutare così le persone e non, invece, un portaombrelli? Ci si stupisce sempre che questi vicini non abbiano colto la diversità, il tormento, la sofferenza, il pericolo alla nostra quotidiana normalità.
Se noi genitori siamo aperti verso gli altri, lo saranno anche i nostri figli.
Etiopia: Lalibela, una delle chiese
scolpite nella roccia
La carità cristiana ci insegna ad accogliere il diverso nelle nostre comunità

4Vi sono poi diversità di carismi, ma uno solo è lo Spirito; 5 vi sono diversità di ministeri, ma uno solo è il Signore; 6vi sono diversità di operazioni, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti. 7E a ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per l`utilità comune...1 Ma tutte queste cose è l`unico e il medesimo Spirito che le opera, distribuendole a ciascuno come vuole (Corinzi 12,4-27)

La carità cristiana ci insegna ad avere compassione dell'altro, ad immedesimarci in lui e nelle sue difficoltà. Pensiamo alla parabola del buon Sammaritano e ad aiutarlo con i mezzi che abbiamo a disposizione. La compassione è diversa dall'emotività, che in poco tempo sfuma nel nulla.

DOMANDONI DI FINE SERATA
Sappiamo conversare con l’altro, ascoltando e accogliendo il suo punto di vista, senza voler imporre il nostro? Oppure, attraverso le parole e l’atteggiamento, combattiamo in realtà un duello con il nostro interlocutore?
In quali casi il suo punto di vista diverso ci è stato di aiuto?
Riusciamo a vedere Cristo nel fratello che incontriamo? Quali incontri, quali presenze, ci disturbano maggiormente e perché?
Cosa mi frena nel donarmi? Cosa ho paura di perdere?
Ho bisogno della gratitudine altrui per essere soddisfatto del mio operare?


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L’ACCOGLIENZA NELLA CARITÀ
La parabola del buon samaritano (Lc 10, 25-37)
[Un dottore della legge, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «Ma chi è il mio prossimo?».  Gesù rispose: «Un uomo scendeva da Gerusalemme verso Gerico, quando incappò nei briganti. Questi gli portarono via tutto, lo percossero e poi se ne andarono lasciandolo mezzo morto.  Per caso passò di là un sacerdote, vide l'uomo ferito e passò oltre, dall'altra parte della strada.  Anche un levita passò per quel luogo; anch'egli lo vide e, scansandolo, proseguì.  Invece un samaritano che era in viaggio gli passò accanto, lo vide e ne ebbe compassione.  Gli si accostò, versò olio e vino sulle sue ferite e gliele fasciò. Poi lo caricò sul suo asino, lo portò a una locanda e fece tutto il possibile per aiutarlo.  Il giorno seguente, tirò fuori due monete, le diede all'albergatore e gli disse: "Abbi cura di lui e ciò che spenderai in più lo pagherò al mio ritorno". Quale di questi tre ti sembra sia stato il prossimo di colui che aveva incontrato i briganti?». 
Il dottore della legge rispose: «Quello che ebbe compassione di lui». Gesù allora gli disse: «Va' ne anche tu fa 'lo stesso».

GESÙ RISPOSE: “UN UOMO...”
L’uomo vittima dei briganti è descritto da Luca con questa semplice parola: “un uomo”, di lui non sappiamo nulla, e ancora meno sanno di lui coloro che gli passano accanto, i briganti l’hanno spogliato e percosso e non è più possibile capire se si tratta di un uomo ricco o povero, sano o malato. Gesù ci chiede di interessarci all’altro così com’è, senza pretendere di conoscere la sua storia. Dio, nel racconto di Genesi, quando crea l’uomo dice che ciò che ha creato è “cosa molto buona”. Nonostante il peccato l’uomo resta buono, qualunque cosa abbia fatto, tocca a noi tirare fuori da quest’uomo quello che c’è di buono; su questo punto, sia come società sia come cristiani, siamo molto deboli.

“NE EBBE COMPASSIONE”
Il samaritano ha compassione di quell’uomo e per aiutarlo si ferma, scende dalla sua cavalcatura, rinuncia alle sue sicurezze anche se corre a sua volta il pericolo di essere assalito dai briganti. Egli è riuscito a vedere in quell’uomo quello che gli altri passanti non sono riusciti o non hanno voluto vedere. Noi confondiamo sovente compassione con emozione, ci sono molti fatti che i mass media ci propongono che suscitano in noi emozione. Ma se il nostro cuore è chiuso alla compassione continueremo a guardare l’altro con occhi di uomo e non con gli occhi di Dio, vedremo nell’uomo a terra solo le ferite, le vesti lacere, il pericolo e non “l’altro”.

“GLI SI ACCOSTÒ”
Proviamoci a mettere nei panni del samaritano: ne ha del coraggio! Quante volte noi abbiamo paura ad avvicinarci all’altro, anche semplicemente a girare la sera in quartiere buio. Ci vuole tanta preghiera per superare la paura di avvicinare “l’uomo” perché il Signore ci chiede, come al dottore della legge, “Va e anche tu fa lo stesso”.

“VERSÒ OLIO”
Non solo il samaritano si avvicina ma lo tocca, lo cura, non ha paura di sporcarsi le mani, di rimboccarsi le maniche. L’accoglienza è partire dalle necessità e dalle esigenze della persona e non dare o fare solo quello che ci fa comodo.

“LO CARICÒ SULL’ASINO”
Non basta essere compassionevoli, ci è chiesto anche di condividere quello che abbiamo con l’altro; per il samaritano si tratta dell’asino, per noi si tratta di condividere il tempo, la salute, le ricchezze materiali e spirituali, ecc.
 
“FECE TUTTO IL POSSIBILE PER AIUTARLO”
Quando quello che facciamo non basta, allora siamo invitati a rivolgerci a coloro che lo possono meglio aiutare: nella parabola ciò è indicato dalla locanda e dall’albergatore, … Ma non è ancora finito: “ciò che spenderai di più lo pagherò al mio ritorno”; non possiamo limitarci a scaricare ad altri le situazioni difficili, ci è chiesto di continuare ad amare, a pensare, ad interessarsi all’altro anche quando lo abbiamo affidato a mani più esperte delle nostre.
“AL MIO RITORNO”
Luca non ci dice cosa avverrà in questa circostanza, non ci dice se il samaritano sarà ringraziato da quell’uomo oppure no! 

15 commenti:

  1. Ciao a tutti.

    Ci viene dal cuore iniziare questa nuova giornata con un ringraziamento per il buon sapore che ci ha lasciato la bella serata che abbiamo vissuto insieme ieri sera.

    GRAZIE per gli spunti di riflessione, ma in particolar modo grazie della presenza di chi ci hanno portato una testimonianza vera di vite vissute in modo "lontano" e diverso dal nostro ... eppure vite ...

    In altre occasioni alcune testimonianze ci hanno permesso di aprire una finestra sul mondo che va oltre il nostro ombelico friulano.

    Ora ci possono parlare e raccontare l'Africa.

    E' stupenda questa possibilità che ci viene offerta di confrontarci e di ascoltare ciò che non conosciamo.

    Solo un neo ci viene alla mente. Purtroppo molte volte siamo così pieni di noi stessi e delle nostre sicurezze, della nostra cultura, del nostro punto di vista, che ci viene semplice confrontarci sui massimi sistemi e individuare la strada per salvare il mondo... , ma poi inciampiamo sul primo e più piccolo sassolino rappresentato da un punto di vista diverso che può avere una persona che ci sta e pochi metri e parla la nostra stessa lingua, ha la nostra stessa cultura, ha frequentato le nostre stesse scuole. Ci viene facile parlare di accoglienza, ma poi esce con estrema facilità la frase "questo non lo posso accettare"... Questo rappresenta la fragilità della nostra umanità e ci è chiesto di accettarlo ... imparando però anche ad accettare con serenità chi ci parla di cose diverse, che non comprendiamo o non condividiamo.
    La nostra crescita passa anche attraverso la curiosità di ascoltare cose nuove ed accettare, pur non capendo o condividendo, che ci siano cose diverse da noi...

    Anche questa è una bellissima lezione che, se vogliamo, è uscita dalla splendida serata di ieri.

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    1. Voglio aggiungere anche io qualche osservazione.

      In primo luogo, ciò che non posso comunque accettare, e lo dico serenamente, è che si sostenga che il processo di integrazionetra le genti sia fallito per la peculiarietà di certi popoli nell'essere pregiudizialmente ostili al processo di integrazione. Lo ribadisco con fermezza, perchè ne sono profondamente convinto e non per volontà di prevaricazione verso le opinioni altrui. La prima generazione dei migrati è arrivata da noi con bisogni primari, tali da non dare molto tempo a disquisizioni filosofiche o sociologiche. La seconda generazione, con la pancia finalmente piena e un livello di istruzione più elevato, ha capito che nella sostanza noi occidentali non vogliamo l'integrazione, quanto e piuttosto, vogliamo che i migranti restino al loro posto senza disturbare e senza pretese. Il che significa che costruiamo quartieri dormitorio, limitiamo le opportunità sociali, concediamo a questa gente i lavori più umili. Se si accontentano di questo ruolo emarginato, se non fanno questioni, allora sono considerati e considerabili integrati. Se invece protestano, se si riallacciano alle loro radici perchè non si riconoscono più nel mito della società occidentale che li respinge, se rivendicano un'autonoma libertà intellettuale, allora infastidiscono. Più ci infastidiscono, più li ghetizziamo, più concorriamo a spingerli nella pazzia dell'integralismo. Integralismo di ogni genere, che giustamente ci terrorizza, ma che abbiamo contribuito a far crescere con le nostre azioni quotidiane, anche quelle più banali.

      Come vedete, c'è una distanza considerevole tra questa mia posizione personale e chi sostiene che è invece ora di prendere atto che le diversità sono incolmabili, perchè sono gli "altri" a non volerle colmare! Ne deriva certamente un mio personale atteggiamento che sembra aggressivo e invece è solo esasperazione. Esasperazione che provo nel sentire queste posizioni sui giornali, al bar, sul lavoro. Insomma un pò ovunque. E se le distanze non possono essere accorciate, bisogna anche avere il coraggio di restare sulle proprie posizioni senza per questo farne un dramma. Certamente, personalmente, io non sono adatto a trovare una posizione falsamente conciliatoria solo per non disturbare l'immagine di armonia a tutti i costi. Gesù Cristo nel tempio non ha usato la dialettica soporifera del "volemose bene" a tutti i costi. Ha preso la frusta e ha cacciato i mercanti. Sarebbe stato proprio comico che il giorno dopo si fosse scusato per i toni un pò troppo accesi.

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    2. Io non voglio paragonarmi. Voglio solo dire che se uno ha forti convinzioni, le deve difendere. Non si tratta di massimi sistemi o di seghe mentali, come sembra possibile dedurre dalla lettera di Denis. Si tratta di aver studiato la storia del popolo etiope, che aveva una fiera e antichissima civiltà, distrutta da noi italiani con le bombe chimiche, quando queste erano già state bandite dal consorzio dei paesi civili. Si tratta di gente che aveva una possibilità di perseguire un progresso autonomo e proprio, una strada verso l'autodeterminazione e lo sviluppo. Strada che noi abbiamo troncato irrimediabilmente. Ora che queste persone cerchino un futuro diverso in Europa, e che sentendosi tradite anche in questo sogno, possano nutrire sentimenti di infinita ostilità nei nostri confronti mi sembra del tutto possibile e giustificabile. E queste considerazioni valgono per ognuno dei paesi che hanno subito la violenza della colonizzazione. Sembrano questi miei ragionamenti dettati da presunzione? Dettati da insopportabile alterigia? Mi spiace ma non condivido! E invece chi propone di lasciarli nella loro miseria, a casa loro, che tipo di soluzione propone? Più percorribile? Più conciliatoria? Voi sareste restati volentieri in un paesino isolato ed emarginato della Carnia a cercare di coltivare la vostra diversità, se foste nati nel 1880?

      La verità temo sia che questi ragionamenti diano fastidio più dei miei atteggiamenti. Perchè è facile "vergognarsi" del mio modo di discutere, e perfino arrivare a chiedere scusa al mio posto! Meno facile, è a esempio, spiegare perchè si chieda solo del ruolo degli islamici in etiopia, e non si ricordi che la chiesa cattolica è arrivata in quella terra a fianco dei fascisti gassificatori. Se vogliamo parlare di sensibilità altrui, allora debbo dire che quella domanda sugli islamici ha urtato molto la mia sensibilità. Solo perchè è stata fatta con tono sommesso, avrei dovuto accettarla senza sentirmi attaccato nei miei sentimenti? Chi chiede scusa al mio posto sà forse che seguendo i documentari sulla storia del colonialismo italiano in Etiopia, Eritera e Somalia, io ho pianto lacrime amare vergognandomi di essere italiano? I toni sommessi possono essere altrettanto violenti dei toni esagetati del sottoscritto, che certamente ha un carattere irruento. Toni però che usa quando tenta di trasmettere convinzioni profonde e sinceramente sentite.

      Sono orgoglioso di avere organizzato queste due serate sul tema insieme a sara, giovanni e monica, che ringrazio per il loro impegno. Naturalmente ringrazio di cuore per la "verità" e l'"emozione" che ho sentito e colto nelle parole di almas e massimo. Spero che verso maggio si possa passare una bella giornata a mangiare zighinì, a discutere e anche a litigare. Se serve a conoscerci meglio e a conoscere meglio il mondo che ci circonda, non sarà mai tempo perso.

      Ciao a tutti e buona giornata comunque, chè fuori da questo mio ufficio, c'è un bellissimo sole!

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  2. Mamma mia, che bello !
    Non avrei mai pensato di solleticare così tanti argomenti solo con la parola "Etiopia". Bellissimo veramente !

    Parlando di Etiopia io non sono documentato come te (figurati che prima di andare lì nel 2003 non sapevo neanche le date dell'invasione italiana) ma ho avuto la fortuna di confrontarmi direttamente con la gente del posto ed ho messo da parte parecchi pregiudizi. Per esempio il fatto che gli italiani sono sempre ricordati dai vecchi etiopi con simpatia e gratitudine. Sì, è così. Molti di loro ricordano come i loro padri abbiano lavorato insieme agli italiani nella costruzione di strade, piazze, case ed abbiano imparato "il mestiere" grazie agli italiani. Testimonianza di questo è il fatto che moltissime parole della lingua tigrina (parlata nel nord dell'Etiopia e in Eritrea) sono nate proprio durante il "periodo italiano". Alcuni esempi: macchina, asfalto, motore, martello, badile, finestra, pane, tondino, lampadina...potrei continuare...Sono parole italiane trasferite nella lingua tigrina ed usate quotidianamente anche oggi in Etiopia ed Eritrea. Se non è uno scambio culturale questo...

    Era proprio questo che intendevo (forse non mi sono fatto capire ieri sera) quando dicevo che abbiamo perso un'opportunità ai tempi del fascismo. Se non ci soffermiamo solo sull'ideologia sbagliata dell'invasione coloniale, ci accorgiamo che si era creata all'epoca, seppure in una situazione di guerra, una sinergia tra la popolazione etiope e gli italiani che niente aveva a che vedere con i disegni bellici dell'epoca e che se ne "fregava" (passatemi il termine) delle decisioni prese dalle alte cariche politiche e militari. Capite? Si era creato uno scambio culturale "non ufficiale" soltanto con l'incontro tra le persone anche se le motivazioni principali erano, purtroppo, altre.
    Dove voglio arrivare...Quello che noi abbiamo troncato con il popolo etiope è stato un vero processo di integrazione tra popoli e scambio culturale, sociale, economico che "informalmente" si era già avviato, che poteva far bene a tutti e che si è arenato perchè (come sempre) non si è dato voce alla "gente comune" che lo aveva iniziato.

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  3. Questa rimane una mia personalissima opinione come quella che la millenaria tradizione etiope non è stata scalfita dalla dominazione e dalle bombe italiane. Se girate l'Etiopia vi accorgerete che l'antichissima civiltà c'è ancora ed è ben visibile e quello che è certo è che avrebbe potuto instaurarsi una crescita anche grazie agli italiani. Può darsi che senza il nostro intervento gli etiopi avrebbero vissuto meglio oppure forse la guerra interna con l'Eritrea sarebbe cominciata prima facendoli sprofondare ancor prima nella totale povertà...non lo so. Cerchiamo di sfruttare in bene, però, quello che la storia ci consegna, anche le esperienze negative.
    Quello che è certo è che i vecchi etiopi ricordano come con gli italiani che insegnavano "il mestiere" si stava bene, mentre gli inglesi "liberatori" si portavano via le rotaie della ferrovia italiana ad Addis Abeba....

    Concludo con il riferimento alla chiesa cattolica.
    E' arrivata in Etiopia grazie a S. Giustino de Jacobis nel 1839, molto prima del fascismo, ed ha influito in una piccolissima regione e in piccola percentuale sulle popolazione etiope, vivendo insieme alla millenaria tradizione copta-ortodossa e all'islam che arrivava dalla penisola araba. Quello che intendevo dire ieri sera è che nonostante questa esigua minoranza, le attività a sostegno della popolazione etiope sono per la maggior parte fatte da strutture cattoliche. Non solo e non sempre con criteri cosiddetti "cristani", questo è vero, però molte funzionano ed è un dato di fatto inconfutabile e questo, visitando l'Etiopia, lo può dire anche un ateo.

    Finisco ribadendo la straordinaria moltitudine di sfaccettature che può prendere un argomento ed i molteplici punti di vista, tutti condivisibili.

    Le mie sono solo, ripeto, opinioni personali. Accettatele per quello che sono, non vogliono esprimere giudizi contro nessuno ma solo testimoniare una realtà che ho visto con i miei occhi e toccato con mano in Etiopia e che, forse, in pochi sanno.

    Durante il pranzo etiope di maggio rimango a disposizione per continuare il dibattito.

    Un caro saluto a tutti.

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  4. … non dimentichiamoci il primo atto ufficiale degli italiani: l’abolizione della schiavitu’, all’epoca in uso in Etiopia. Oddio, non potevano non farlo perche’ la giustificazione per l’invasione dell’Abissinia era proprio… “andiamo la’ ad abolire la schivitu’”. Comunque, e’ un atto interessante dal punto di vista storico perche’ firmato dal generale De Bono, quadriumviro fascista della prima ora.

    (le stragi di Graziani e l’iprite furono ovviamente delle infamie senza rimedio)

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    1. PS il cattolicesimo entró in Etiopia gia' nel 1600 con i gesuiti a seguito dei contatti fra l'Etiopia e i portoghesi. In particolare il gesuita Pedro Páez riuscì a entrare nelle grazie dell'imperatore. In questo periodo i Gesuiti fecero costruire chiese ma anche ponti e altre opere di pubblica utilità. Il successore di Páez, Alfonso Mendez, fu meno diplomatico e contribuì a un nuovo calo di popolarità dei Gesuiti sia a corte che presso la popolazione. Nel 1633 la Società di Gesù fu definitivamente espulsa dall'Etiopia.

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  5. L'Etiopia è un paese bellissimo, un clima stupendo, gente ospitale, cordiale che vive la vita con dignità con il poco che ha. Sì, perchè è un paese "ricco" in umanità ma "povero" in infrastrutture, in strutture sanitarie, scolastiche, senza accesso sicuro all'acqua potabile, senza aiuti all'agricoltura, principale fonte economica del paese. E allora la gente vede (perchè televisioni, satelliti e telefonini sono sbarcati repentinamente anche lì) che esiste un mondo (di carta aggiungo io) dove ci sono tutte queste cose e pensa di entrarvi a far parte sognando soldi e benessere a palate. Così molti giovani abbandonano la scuola (che magari genitori e parenti con molti sacrifici avevano pagato) per chiedere ancora soldi alla famiglia stessa che si indebita (una traversata del deserto costa dai 2000 ai 3000 Euro!) pur di assecondare questo "sogno" che sembra reale.
    "Vedrete - dicono - non appena saremo là vi ripagheremo tutto e vi faremo arrivare ancora più soldi, perchè di là si stà bene e soldi non mancano"....

    Ecco che allora le famiglie rimangono in Etiopia ancora più povere mentre i figli partono per una destinazione (Europa, Medio Oriente, Israele). Molti non ce la fanno ad arrivare, altri ce la fanno con grandi sacrifici fisici e, a volte, con altro denaro da sborsare. E chi arriva a destinazione? Debilitati e stanchi, senza soldi, senza possibilità di comunicare si trovano spediti in centri di accoglienza, o campi profughi, senza sicurezza per il futuro. I pochissimi che dopo molto tempo trovano un lavoro, a malapena riescono a pagarsi il costo della vita...e rimangono con una grande nostalgia del paese di origine.

    Nel frattempo in Etiopia, la famiglia, ancor più impoverita, chiede ripetutamente aiuti, illusa dal fatto di avere un figlio in Europa o comunque fuori dall'Africa.

    Questa non è la regola, ma la stragrande maggioranza delle situazioni che abbiamo visto con i nostri occhi è, purtroppo, questa! Ci sono poi altri casi, ma la realtà finale è quasi sempre la stessa.

    Cosa fare allora? Sicuramente la gente che arriva da noi, in qualunque modo sia arrivata va prima di tutto accolta come "Persona" con la dignità che tutti gli esseri umani devono avere. Dopodichè loro stessi, sentendosi accolti ed accettati dovrebbero accettare ed accogliere la realtà in cui si trovano a vivere.

    Ma la soluzione potrebbe stare all'inizio: perchè non condividere i problemi ma anche le speranze e le opportunità di questa gente nel loro paese d'origine?

    - accordi tra governi più sensibili alle esigenze del proprio paese e non a interessi personali;

    - creare lavoro con accesso al credito soprattutto per le donne vero motore dell'economia africana.

    Gli stati coinvolti nel fenomeno dell'immigrazione dovrebbero, credo, capire prima queste cose invece di discutere se accettare o meno gli immigrati.

    Vista la nostra situazione attuale di recessione, sarebbe sicuramente una opportunità in più anche per noi. Condividere per scambiarci le reciproche capacità è motivo di benessere (non solo materiale) comune.

    Sembra una cosa molto distante da noi, ma, crediamo, nel nostro piccolo possiamo fare qualcosa conoscendo un poco la realtà.

    Nella situazione attuale, lo ammetto, non è facile convincere i giovani a rimanere in Etiopia. Le sirene da questa parte del mondo suonano forte, ma senza qualcuno che ti accoglie, un familiare, un conoscente, un lavoro...tutto è terribilmente complicato.


    Vi lasciamo l'indirizzo del nostro blog sull'Etiopia http://progettomamre.blogspot.com/

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  6. Il Financial Times nell'articolo "Portuguese seek future in Mozambique" offre uno spaccato di quella che si potrebbe definire "immigrazione di ritorno". Il Portogallo é in crisi economica e ben 20.000 portoghesi gia' sono emigrati in Mozambico per lavorare nell'economia africana che cresce del 7.5% all'anno (mentre quella lusitana e' in recessione-stagnazione).

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  7. Sulla questione Etiopia si possono fare commenti di buon senso che peró non aggiungono molto alla discussione (tutti condannano il colonialismo, tutti condannano l'iprite, tutti condannano le stragi di Graziani ecc. ecc.) per cui secondo me, si puó dare per assodato che tutti guardiamo nella stessa direzione e quindi andare oltre. Per me é piú stimolante é dibattere sulle cose dove si hanno punti di vista diversi. Ad esempio, in un mondo dove siamo in 7 miliardi e dove con lo stile di vita che abbiamo in occidente, é umanamente piú giusto NON FARE FIGLI e adottare orfani del Terzo Mondo? O quantomeno, considerata quanta acqua, carne, energia, che ogni nuovo occidentale consuma, non sarebbe piú rispettoso nei confronti dei paesi poveri limitare il numero di figli che facciamo? Massimo due. Da tre i poi é un atto di egoismo inescusabile. Discutiamone...

    Accoglienza: supponiamo che come migrante io non sia cattolico romano, perché devo fare il permesso di soggiorno in un'ufficio pubblico che espone un crocefisso? Per di piú rappresentando un falso storico, cioé un palestinese dell'anno 33 D.C. che ha le sembianze di uno Svedese (alto, biondo e occhi azzurri). Perché non si rappresenta con i tratti tipici dei palestinesi dell'epoca, cioé pelle scura, capelli neri e occhi neri? Per rispetto dei migranti non cattolici togliamo il crocefisso dai luoghi pubblici? Discutiamone.

    In Italia esiste una legge nata negli anni del terrorismo che impedisce alle persone di girare in luoghi pubblici con il volto coperto. La legge va dritta dritta a ledere il diritto di chi per tradizione decide di portare un velo che copre parte o tutto il viso. Perché non si chiede l'abolizione di questa legge? Discutiamone.

    Quanti migranti senza qualifiche scolastiche e senza precise professionalitá possiamo far entrare in Italia senza che il nostro sistema di welfare, abitativo ed assistenziale sia messo in ginocchio? 100 mila, 1 milione? 2 milioni? 3 milioni? 10 milioni? 20 milioni? 30 milioni? 50 milioni? E a cosa siamo disposti a rinunciare per compensare i numeri? meno pensione? Code piú lunghe all'ospedale? Scuole piú affollate? Servizi sociali piú onerosi? Informiamoci, poi ne parliamo.

    Nel nostro piccolo cosa facciamo per l'integrazione? Assumiamo migranti nelle nostre imprese dandogli qualche forma di prioritá? Ci facciamo promotori di una diminuzione dei sussidi all'agricoltura da parte dell'UE che sostiene i nostri agricoltori ma uccide il principale export dei paesi piú poveri del mondo, cioé i beni agricoli? Parliamone.

    L'integrazione é anche mutua accettazione e omprensione: a cosa siamo disposti a rinunciare per accettare chi arriva? E cosa possiamo legittimamente chiedergli di rinunciare per venire incontro alla nostra societá? Se alcune religioni permettono di avere due suocere, perché dovremmo impedirlo? Parliamone.

    Quali nazioni del mondo occidentale sono un modello di integrazione e che insegnamnti possiamo trarne?

    Quali dati esistono per dimostrare che é una panzana colossale che alcune etnie delinquono piú di altre?

    Fino a che punto si deve spingere il nostro senso di colpa per essere nati nella parte ricca del mondo? Potremmo mai riuscire a toglierci questo senso di colpa?

    Che ne pensano i cattolici delle posizioni del cardinale Biffi sull'immigrazione?

    Sono personalmente favorevole al buonismo perbenista perché aiuta a mantenere i rapporti personali, per mutuo beneficio, nei piccoli centri abitati e quindi sono favorevole ad abbozzare ad ogni polemica e dare ragione a chiunque la cerchi. Se non fossi fatto cosí, mi divertirei a discutere i temi qui sopra. :-)

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  8. Visto che mi piace essere controcorrente...condanno il colonialismo e tutto quello che ha fatto ma, personalmente, mi viene da pensare anche a qualcosa di diverso quando mi trovo in Etiopia e vedo che la gente ci ricorda con simpatia e gratitudine...Mah, c'è qualcosa di strano. Noi ci condanniamo da soli e gli etiopi ci elogiano! Forse occhi più aperti anche al tempo delle colonie avrebbero evitato stragi e sviluppato paesi...
    Seconda provocazione: i cinesi hanno già capito come fare con i figli: politica del figlio unico. Se non si fosse imposto questo limite, ora i cinesi sarebbero ben oltre i due miliardi di persone, e questo non avrebbe permesso di sviluppare una industria che dà da mangiare a tutti.
    In Etiopia (ma credo senza timore di smentite anche nel resto dell'Africa e in India) si vedono i poveracci che si trascinano per morire ai bordi della strada. In Cina questo non succede: però siamo i primi a condannare i cinesi per il loro modo di operare in giro per il mondo. Noi che siamo stati affaccendati a combattere guerre in Africa che drenavano risorse, ora lì ci sono i cinesi che si accordano con i governi locali costruendo infrastrutture in cambio di materie prime. Come sempre dipende dai punti di vista. Personalmente mantenere il nostro stile di vita e fare meno figli è più egoistico che farne tre e cercare di vivere in modo più sobrio. Ma se continuiamo a consumare così, la Cina ci insegna come fare...

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  9. Il colonialismo è stata una pillola amara ma che alla lunga sembra aver dato dei benefici anche a molti paesi colonizzati. Il più importante è la lingua: cosa sarebbe l'India senza l'Inglese? I cinesi sono la comunità straniera più numerosa in Libia; mentre l'Italia disponeva dei risarcimenti miliardari per chiudere la partita coloniale, la Cina sigla contratti con tutti, siano essi governi democratici o dispotici. Non che l'Occidente non faccia lo stesso: Londra, Parigi, Zurigo, (Roma?) pullulano di dittatori ed ex dittatori con lucrosi conti nelle banche locali. Dall'altro lato, la già citata India, nonostante ricavi miliardi dai paesi Occidentali in donazioni a favore della povertà (forse da intendersi come "collaterali" alla vincita di contratti per le infrastrutture), ha un bel programma spaziale con tanto di scienziati, ingegneri, satelliti, base di lancio ecc. Uno muore da poveraccio nelle strade di Calcutta ma almeno sa che i suoi governanti, in questo caso democraticamente eletti, possono spedire razzi nello spazio. E in che modo questo sarebbe colpa mia?

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  10. Questione crocifisso: mi va benissimo rispettare i non cattolici migranti; che tolgano pure i crocifissi ma che utilizzino i permessi di soggiorno per lavorare anche la Domenica, a Pasqua e Natale. Ci pensate? Strutture ospedaliere aperte 7 giorni su 7, analisi del sangue la domenica mattina, passare in uffici pubblici il sabato o la domenica. Risultato: ottimizzazione delle strutture, resa economica e favorire chi lavora durante la settimana con un servizio pubblico efficiente. Utopia? Giriamo un po il mondo e ci accorgeremo che la maggior parte dei paesi ha negozi, centri sanitari, uffici aperti 7/7 fino alle 11 di sera. Invece in Italia discutiamo se mettere o togliere il crocifisso, però è quasi impossibile farsi fare una visita ospedaliera durante la settimana alle 2 di pomeriggio...

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  11. :-))) siamo una nazione in declino strutturale, ci vorrebbero gli indiani dei negozi di famiglia che ci sono a Londra (aperti a tutte le ore e giustamente molto remunerativi per le famiglie che ci lavorano). Chi viene qua può portare nuova voglia di fare, energia e cambiamento. Ad ogni modo, volenti o nolenti, la demografia farà il suo corso... Italia tasso di natalità Italia 9 su 1.000 abitanti, Africa 30+ su 1.000 abitanti... diamogli 50-60 anni e poi non servirà più discutere (e facciamo cambio, io vado in pensione in Africa, al caldo).

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