IL VALORE DELL'ACCOGLIENZA
PERCHE' FA PAURA LA DIVERSITA'?
Siamo tutti diversi o siamo tante sfaccettature della stessa cosa? La diversità è ovunque; dalla diversità di etnia, forse solo la più immediata, alla diversità di credo politico, di orientamento sessuale, di religione, di abilità o disabilità, di salute, di possibilità economiche.
E poi più in piccolo, nel nostro microcosmo: diversità di carattere, di desideri, di comportamento, di abbigliamento; tra colleghi, amici, compagni di associazioni, vicini di casa. Nella nostra famiglia i nostri figli sono diversi da noi. Noi stessi, in tempi diversi, diventiamo diversi grazie a ciò che ci offre la vita. Proviamo solo per un momento a pensare a quello che ognuno di noi era dieci o venti anni fa, e misuriamo la differenza tra quello che siamo adesso.
La paura per tutto ciò che è diverso è intrinseca nella nostra natura. La continua evoluzione del nostro stesso equilibrio, può essere per molti fonte di destabilizzazione e angoscia.
In realtà, in natura, è la diversità stessa che ha permesso l'evoluzione delle specie: le continue mutazioni hanno creato delle modificazioni dinamiche permettendo così una migliore adattabilità all'ambiente e quindi la sopravvivenza delle specie e degli individui.
Tuttavia, l'instabilità che deriva dall'evoluzione non è percepita come fattore positivo, quanto e piuttosto, come una minaccia alla nostra sicurezza e stabilità. Diverso significa adattamento, significa quindi fatica e paura di non reggere la sfida del confronto. In altri termini, diverso è generalmente interpretato come aggressivo.
Questa interpretazione è sostenuta dalla continua pressione dei mass-media, che dipingono l'immigrato come clandestino, come “alieno” alla nostra cultura [che immaginiamo presuntuosamente come cultura umana di riferimento e di valore universale], fuori dal controllo della legge, invasore e arruffone dei nostri beni, alimentando a dismisura le nostre paure. Questa pressione è più forte di qualunque “campagna” pro-immigrato.
Siamo intrisi di preconcetti, per cui è lo zingaro che ruba, il borchiato un delinquente, e non ci accorgiamo che chi ci deruba veramente del nostro tempo, dei nostri soldi e dei nostri affetti è un pulito e profumato manager in giacca e cravatta. Pensiamo a Tanzi della Parmalat: il denaro da lui rubato è enormemente superiore a quello che molti nomadi arraffano nelle nostre case, ma non per questo tutti gli abitanti di Collecchio sono diventati sinomino di ladro!
Non siamo abituati, non conosciamo la diversità.
Fino a poco tempo fa era impensabile vedere un immigrato in un paesino di montagna, nell'Italia di provincia non si vedono gli omosessuali camminare per mano o darsi un bacio per strada. Anche il semplice portare un bimbo in fascia è visto come una stranezza.
Finchè non apriamo gli occhi, non apriremo mai le porte agli altri.
PERCHE' SFORZARSI DI SUPERARE LA PAURA DEL DIVERSO?
La diversità è alla base del nostro stesso esistere.
La diversità è ricchezza. Conoscere persone nuove significa aprire la nostra mente, arricchirsi culturalmente e umanamente, allargare il proprio orizzonte verso esperienze e valori che hanno una storia diversa ma ugualmente affascinante.
Accettare e comprendere la diversità nelle persone che quotidianamente possiamo incontrare ci rende più tolleranti ed empatici. E' un superamento di noi stessi, spostandoci da una posizione “al centro del mondo” ad una posizione più eccentrica, che ci consente di osservare gli altri, inizialmente con curiosità e simpatia, e poi di immedesimarci in loro.
Credo che questo atteggiamento nel cristianesimo si chiami carità.
Accogliere le diversità è quello che ci ha insegnato Cristo ed è quello che dovrebbe ricordaci la Chiesa quotidianamente.
COME AGIRE?
La famiglia è il primo luogo di accoglienza.
Il primo tipo di accoglienza che la famiglia è chiamata a vivere riguarda l’interno della famiglia stessa. Allora ospitalità nella famiglia indica l’attitudine a saper accogliere le attese, i desideri, le intuizioni del coniuge, dei figli, del genitore, vincendo il facile atteggiamento di banalizzazione o di opposizione. O, peggio, di disinteresse e indifferenza.
Si cerchi dunque un’atmosfera viva di stima e di ascolto reciproco, che permette alle persone di sentirsi amate e stimate. Educarsi reciprocamente al rispetto reciproco significa imparare ad avere il coraggio di vivere questa ospitalità nei riguardi di avvenimenti, idee, differenze di cultura. Anche all'esterno del nostro piccolo mondo quotidiano.
E' solo un passo, che prepara all'accoglienza verso l'altro. Altro che non perde, ai nostri occhi, il diritto di appartenere al mondo degli umani solo perchè non condivide la nostra cultura, il nostro credo, i nostri valori. E' a volte sinceramente stupefacente sentire la meraviglia di chi, avendo fuggevolmente e casualmente rotto la barriera che ci divide, ci confida meravigliato quanto gli altri siano simili a noi.
Ci sono molti modi per aprirsi all'accoglienza, tutti validi e impegnativi, esempi importanti per i nostri figli. Ma ce ne sono anche tanti altri molto più semplici e a portata di mano, meno impegnativi: siamo chiamati ad un’accoglienza ordinaria ma continua verso coloro con cui condividiamo il nostro tempo, non basta un “buon giorno, buona sera” per diventare prossimo agli altri e per fare comunità.
Quante volte sentiamo, parlando di un assassino, i vicini di casa dire stupiti: era una persona così per bene, salutava sempre educatamente. In questi reciproci saluti “educati” cosa c'era di veramente condiviso? Che differenza c'è nel salutare così le persone e non, invece, un portaombrelli? Ci si stupisce sempre che questi vicini non abbiano colto la diversità, il tormento, la sofferenza, il pericolo alla nostra quotidiana normalità.
Se noi genitori siamo aperti verso gli altri, lo saranno anche i nostri figli.
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Etiopia: Lalibela, una delle chiese
scolpite nella roccia |
La carità cristiana ci insegna ad accogliere il diverso nelle nostre comunità
4Vi sono poi diversità di carismi, ma uno solo è lo Spirito; 5 vi sono diversità di ministeri, ma uno solo è il Signore; 6vi sono diversità di operazioni, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti. 7E a ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per l`utilità comune...1 Ma tutte queste cose è l`unico e il medesimo Spirito che le opera, distribuendole a ciascuno come vuole (Corinzi 12,4-27)
La carità cristiana ci insegna ad avere compassione dell'altro, ad immedesimarci in lui e nelle sue difficoltà. Pensiamo alla parabola del buon Sammaritano e ad aiutarlo con i mezzi che abbiamo a disposizione. La compassione è diversa dall'emotività, che in poco tempo sfuma nel nulla.
DOMANDONI DI FINE SERATA
Sappiamo conversare con l’altro, ascoltando e accogliendo il suo punto di vista, senza voler imporre il nostro? Oppure, attraverso le parole e l’atteggiamento, combattiamo in realtà un duello con il nostro interlocutore?
In quali casi il suo punto di vista diverso ci è stato di aiuto?
Riusciamo a vedere Cristo nel fratello che incontriamo? Quali incontri, quali presenze, ci disturbano maggiormente e perché?
Cosa mi frena nel donarmi? Cosa ho paura di perdere?
Ho bisogno della gratitudine altrui per essere soddisfatto del mio operare?
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L’ACCOGLIENZA NELLA CARITÀ
La parabola del buon samaritano (Lc 10, 25-37)
[Un dottore della legge, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «Ma chi è il mio prossimo?». Gesù rispose: «Un uomo scendeva da Gerusalemme verso Gerico, quando incappò nei briganti. Questi gli portarono via tutto, lo percossero e poi se ne andarono lasciandolo mezzo morto. Per caso passò di là un sacerdote, vide l'uomo ferito e passò oltre, dall'altra parte della strada. Anche un levita passò per quel luogo; anch'egli lo vide e, scansandolo, proseguì. Invece un samaritano che era in viaggio gli passò accanto, lo vide e ne ebbe compassione. Gli si accostò, versò olio e vino sulle sue ferite e gliele fasciò. Poi lo caricò sul suo asino, lo portò a una locanda e fece tutto il possibile per aiutarlo. Il giorno seguente, tirò fuori due monete, le diede all'albergatore e gli disse: "Abbi cura di lui e ciò che spenderai in più lo pagherò al mio ritorno". Quale di questi tre ti sembra sia stato il prossimo di colui che aveva incontrato i briganti?».
Il dottore della legge rispose: «Quello che ebbe compassione di lui». Gesù allora gli disse: «Va' ne anche tu fa 'lo stesso».
GESÙ RISPOSE: “UN UOMO...”
L’uomo vittima dei briganti è descritto da Luca con questa semplice parola: “un uomo”, di lui non sappiamo nulla, e ancora meno sanno di lui coloro che gli passano accanto, i briganti l’hanno spogliato e percosso e non è più possibile capire se si tratta di un uomo ricco o povero, sano o malato. Gesù ci chiede di interessarci all’altro così com’è, senza pretendere di conoscere la sua storia. Dio, nel racconto di Genesi, quando crea l’uomo dice che ciò che ha creato è “cosa molto buona”. Nonostante il peccato l’uomo resta buono, qualunque cosa abbia fatto, tocca a noi tirare fuori da quest’uomo quello che c’è di buono; su questo punto, sia come società sia come cristiani, siamo molto deboli.
“NE EBBE COMPASSIONE”
Il samaritano ha compassione di quell’uomo e per aiutarlo si ferma, scende dalla sua cavalcatura, rinuncia alle sue sicurezze anche se corre a sua volta il pericolo di essere assalito dai briganti. Egli è riuscito a vedere in quell’uomo quello che gli altri passanti non sono riusciti o non hanno voluto vedere. Noi confondiamo sovente compassione con emozione, ci sono molti fatti che i mass media ci propongono che suscitano in noi emozione. Ma se il nostro cuore è chiuso alla compassione continueremo a guardare l’altro con occhi di uomo e non con gli occhi di Dio, vedremo nell’uomo a terra solo le ferite, le vesti lacere, il pericolo e non “l’altro”.
“GLI SI ACCOSTÒ”
Proviamoci a mettere nei panni del samaritano: ne ha del coraggio! Quante volte noi abbiamo paura ad avvicinarci all’altro, anche semplicemente a girare la sera in quartiere buio. Ci vuole tanta preghiera per superare la paura di avvicinare “l’uomo” perché il Signore ci chiede, come al dottore della legge, “Va e anche tu fa lo stesso”.
“VERSÒ OLIO”
Non solo il samaritano si avvicina ma lo tocca, lo cura, non ha paura di sporcarsi le mani, di rimboccarsi le maniche. L’accoglienza è partire dalle necessità e dalle esigenze della persona e non dare o fare solo quello che ci fa comodo.
“LO CARICÒ SULL’ASINO”
Non basta essere compassionevoli, ci è chiesto anche di condividere quello che abbiamo con l’altro; per il samaritano si tratta dell’asino, per noi si tratta di condividere il tempo, la salute, le ricchezze materiali e spirituali, ecc.
“FECE TUTTO IL POSSIBILE PER AIUTARLO” Quando quello che facciamo non basta, allora siamo invitati a rivolgerci a coloro che lo possono meglio aiutare: nella parabola ciò è indicato dalla locanda e dall’albergatore, … Ma non è ancora finito: “ciò che spenderai di più lo pagherò al mio ritorno”; non possiamo limitarci a scaricare ad altri le situazioni difficili, ci è chiesto di continuare ad amare, a pensare, ad interessarsi all’altro anche quando lo abbiamo affidato a mani più esperte delle nostre. “AL MIO RITORNO”
Luca non ci dice cosa avverrà in questa circostanza, non ci dice se il samaritano sarà ringraziato da quell’uomo oppure no!