IO e TE...
Il tema principale di questa serata è quello che riporta
tutti gli sforzi educativi alla loro origine: prima di essere genitori, siamo
sposi. Questa verità abbastanza evidente, viene spesso dimenticata; non tanto
dalle intenzioni, quanto dalla prassi. Tempo, energie, risorse, pensieri,
sogni… Insomma tutto quanto anima la vita di una famiglia può essere speso
primariamente per i figli, dimenticando quel lieto fondamento, che è l’evento
sponsale.
Lo stimolo di queste nostre serate, è quello di aiutare
le coppie a riprendersi in mano, a darsi tempi di qualità, per arricchirsi e
così evitare lontananze pericolose. L’illusione che basta amarsi una volta per
amarsi per sempre, e intanto fare altro come crescere i figli, vedere dei
genitori, far carriera, … è una tentazione estremamente pericolosa; e oggi,
forse più di ieri, questo stile “a struzzo” può portare a delle conseguenze
poco piacevoli e difficili da gestire.
La relazione coniugale è una realtà quanto mai dinamica,
è un equilibrio delicatissimo sempre da ricercare attraverso il confronto con
le nuove situazioni. Nessuna coppia può illudersi che questo processo sia
raggiunto una volta per tutte e smettere di cercarlo. La vita comune cambia, si
evolve, si elabora, si approfondisce, si amplia. Esserne consapevoli consente
alle due personalità di non porsi in contrapposizione e di maturare nella
considerazione della nuova entità che è il "noi". Tutto ciò richiede
un processo di maturazione che può costare fatica e sofferenza, e a volte può
creare conflitti. Questi ultimi, però, se non sono esasperati, ma ben gestiti
ed affrontati, possono risultare positivi perché chiariscono alcune questioni,
aiutano a valutare il proprio rapporto ed accelerano i necessari cambiamenti.
Nella coppia ciascuno dovrebbe sentirsi responsabile
della libertà dell'altro, permettendo e provvedendo a far sì che l’altro possa
esprimere così la sua dignità, i suoi diritti, le sue capacità. In questo modo
nella coppia si pongono le basi per far crescere il rispetto da cui nasce il
dialogo e la pace. Per questo si dice che il matrimonio è la comunione di un
"TU" e non di due "IO". Il "TU" indica il primato
della libertà e dei diritti dell'altro, l’”IO” invece sottolinea il primato
della “mia” libertà e delle “mie” attese. Quando questa attenzione a costruire
la libertà dell'altro è reciproca, si attua il cammino d'amore, un cammino di
autentica e radicale promozione dell'uomo e della donna.
Ma io e te? Tu ed io quando ci incontriamo? Quando ci parliamo di
qualcosa che non sia il programma delle cose da fare, delle urgenze? So
veramente come stai? Come ti sei sentita durante questa giornata? Questa
settimana? Cosa hai pensato? Sei felice?...
Posso veramente essere escluso da tutto questo? Da questa parte della tua
vita? Desidero veramente essere uno spettatore distratto, della tua vita?
Un luogo/tempo dove poter riflettere
su tutto questo è quello che noi pensiamo debba essere Camminare Insieme. Un
luogo di ricarica per la coppia; un posto dove pulire la polvere che si è posata
su di noi, sulla nostra storia. Riteniamo che altri siano i luoghi del fare,
del sociale, della politica, della carità, del culturale, dello storico, …
Questo è il luogo mio e tuo e, se sono veramente sincero, degli amici che ho a
fianco. Questo sarà il punto da cui ci piacerebbe ripartire a settembre con chi
ci vorrà stare. Se non sarà possibile ripartire da qui, non vivremo nessuna
delusione o rammarico, perché per noi è stato comunque meraviglioso, in questi
anni, Camminare Insieme a voi. Grazie.
Con Amicizia
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O Signore Gesù,
aiutaci a vedere in ogni uomo
aiutaci a vedere in ogni uomo
un fratello per il qual tu sei venuto.
Aiutaci ad essere persone libere e responsabili,
che sanno accettare e rispettare l'altro
nella sua diversità e nei suoi difetti:
persone capaci di profonda comunicazione,
Aiutaci ad essere persone libere e responsabili,
che sanno accettare e rispettare l'altro
nella sua diversità e nei suoi difetti:
persone capaci di profonda comunicazione,
che sanno donare e ricevere;
che vincendo l'indifferenza e l'estraneità
che vincendo l'indifferenza e l'estraneità
sanno condividere e immedesimarsi
nell'altro
per soffrire e godere insieme;
persone consapevoli dei propri limiti,
che accettano l'integrazione degli altri
persone consapevoli dei propri limiti,
che accettano l'integrazione degli altri
in un'attiva collaborazione.
O Signore Gesù, insegnaci Tu a perdonare
come Tu hai perdonato, ad amare come Tu hai amato.
O Signore, non lasciarci arroccati nel nostro piccolo io,
barricati dietro le nostre attese,
ma rendici persone aperte, capaci di vero amore,
sorgente di comunione tra gli uomini.
O Signore Gesù, insegnaci Tu a perdonare
come Tu hai perdonato, ad amare come Tu hai amato.
O Signore, non lasciarci arroccati nel nostro piccolo io,
barricati dietro le nostre attese,
ma rendici persone aperte, capaci di vero amore,
sorgente di comunione tra gli uomini.
Amen
Genesi 2, 15-17
Il Signore Dio prese l'uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse.
Il Signore Dio diede questo comando all'uomo: «Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, ma dell'albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché, quando tu ne mangiassi, certamente moriresti».
Cari amici un saluto fraterno e un augurio sempre di buon
“viaggio” in quella che è la Parola di vita che il Signore ci dona sempre. E’
sempre bene smarcarsi dalla tentazione di venirne a contatto con l’intento che
attraverso di essa possiamo suffragare le nostre intenzioni, i nostri
ragionamenti. Essa ci precede, ci fonda. L’intento di aver scelto questi 3
versetti di Genesi ricalca questo desiderio: un viaggio ai primordi per
ricercarne e gustarne l’origine, il fondamento. Quel “TU” che ho posto in
neretto è la prima parola che nella Bibbia Dio rivolge all’uomo e con questo lo
porta al riconoscimento di un IO, di un proprio volto, di un proprio nome, una coscienza,
una storia… Questo giardino, in cui viene posto l’uomo, presenta uno spazio nel
quale si è posti per vivere, nella presenza di Dio, un’alleanza, un rapporto
privilegiato. In questo contesto si vive come soggetti di relazione, capaci di
dialogare nella responsabilità di un progetto entro il quale si giunge a
maturazione come persone. A fronte di una tale offerta di possibilità di
espressione di vita vi è anche un invito che assume le
tinte del comando, dell’ingiunzione a saper mantenere un certo rapporto, a non
travalicare un determinato limite oltre il quale non si è più in grado di
sentirsi in vera comunione.. Il testo è chiaro: l’uscire da questo contesto
porta alla “morte” come soggetto capace di entrare in relazione. L’essere nel
giardino conserva nella vitalità di essa; uscirne indica invece l’entrare nel
deserto che conduce alla morte vissuta come incapacità di intessere relazioni
autentiche e non “avvelenate” dal dominio della brama di possedere. Ora due
accenni-piste di riflessione:
-
In
che modo percepiamo il fondamento della nostra relazione IO-TU come qualcosa
che ci precede e che cogliamo come donatoci da Dio?
-
Quali
sono i “giardini” nei quali sentiamo che percepiamo l’equilibrio del nostro
saper rapportarci con i Tu e in particolare la persona che Dio ci ha posto
accanto?
-
Quali
episodi indicano invece che “sconfiniamo” in contesti di “morte”?
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Giovanni 21,15-19
Quand'ebbero fatto
colazione, Gesù disse a Simon Pietro: «Simone di Giovanni, mi ami più di
questi?» Egli rispose: «Sì, Signore, tu sai che ti voglio bene». Gesù gli
disse: «Pasci i miei agnelli». Gli disse di nuovo, una seconda volta: «Simone
di Giovanni, mi ami?» Egli rispose: «Sì, Signore; tu sai che ti voglio bene».
Gesù gli disse: «Pastura le mie pecore». Gli disse la terza volta: «Simone di
Giovanni, mi vuoi bene?» Pietro fu rattristato che egli avesse detto la terza
volta: «Mi vuoi bene?» E gli rispose: «Signore, tu sai ogni cosa; tu conosci
che ti voglio bene». Gesù gli disse: «Pasci le mie pecore. In verità, in verità
ti dico che quand'eri più giovane, ti cingevi da solo e andavi dove volevi; ma
quando sarai vecchio, stenderai le tue mani e un altro ti cingerà e ti condurrà
dove non vorresti». Disse questo per indicare con quale morte avrebbe
glorificato Dio. E, dopo aver parlato così, gli disse: «Seguimi».
Siamo
al termine del vangelo di Giovanni. Nei primi vv. del cap. 21 Pietro scoraggiato
e sfiduciato dice: “io vado a pescare”, alludendo al suo ritornare alla vita di
sempre, dopo la meravigliosa avventura vissuta con Gesù. Nel cuore l’amarezza
di averlo rinnegato e di vedere infranti tutti i sogni. Ma Gesù si manifesta
nuovamente ai suoi discepoli e Pietro lo riconosce subito. Segue il dialogo che
viene riportato.
E’ un dialogo nel quale si vuole ricostruire la relazione, una
relazione fatta tra pari, tra amici, libera dal rimorso e dalla paura. Gesù prende l’iniziativa: “
Mi ami più di costoro?” Pietro non può negare la verità, ma non può dire che il
suo amore sia superiore a quello degli altri: gli pesa il rinnegamento. Gesù
comprende e gli pone la domanda: ‘Mi ami?’, senza fare più confronti e Pietro
ancora risponde consapevole della sua debolezza. Sa che il suo è un amore
fragile: non si basa più sulle sue forze. Allora Gesù si pone al suo livello:
‘Mi vuoi bene?’, cioè mi accontento di quello che tu riesci a darmi perché
hai sperimentato la pochezza della tua capacità: senza di me non potete far
niente. Per tre volte Pietro ha rinnegato Gesù, per tre volte lo riconferma
nell’amore accontentandosi di quello che gli potrà dare. L’unica cosa che Gesù
vuole è ricostruire il loro rapporto, il loro dialogo. Nella gioia e nella libertà
di un rapporto ricostruito, Pietro ha capito nell’intimo, che solo nel
ravvivare il rapporto col suo Signore sarà in grado si mettersi al servizio dei
fratelli. Con questa consapevolezza, anzi, in questa consapevolezza Gesù gli
ridà piena fiducia e gli ridice: ‘Seguimi!’. Guarda a me e tutto il resto ti
sarà dato in più.
In sintesi e con applicazione alla coppia: solo vivendo un rapporto
vero e sincero, con il Signore prima e come coniugi poi, si può avere/attingere
la forza per educare i figli e per dare il proprio contributo alla comunità
cristiana e civile.
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Quando ci siamo fermati l’ultima volta
a parlare veramente a cuore aperto per dirci come stiamo e dove stiamo andando?
Quando è stata l’ultima volta che
abbiamo dedicato il giusto tempo a fare l’amore senza che questo fosse
“un’altra cosa da fare”? Quando ci siamo presi per mano l’ultima volta e
abbiamo avuto il coraggio di pregare insieme?
Come stai? Come sto? Quando ne abbiamo
parlato l’ultima volta?
Quanto mi manchi quando sei lontano?
Quali paure provo? Cosa desidererei dirti? Mi basta un SMS?
Quando mi hai visto piangere l’ultima
volta? Ti ho spiegato il perché? Cos’hai pensato di me? E quando è stata
l’ultima volta che abbiamo riso tanto, insieme?
Quali sono le ragioni che mi hanno
portato ad essere la persona che sono? Del mio modo di essere? Ti ho parlato
della mia storia nella mia famiglia di origine, per farti comprendere le mie
difficoltà a parlare di me, a scriverne?
Davanti a questa crisi economica e a
questo cambiamento sociologico che stiamo vivendo, ti ho mai detto che l’unica
cosa che conta veramente, sopra ad ogni cosa, siamo io e te, con i nostri
bambini? Desidero dirtelo? Ne ho paura o forse ne sono imbarazzato?
Penso veramente che si possa vivere
senza fermare la nostra corsa, per pensare un po’ a noi?
Quanto fastidio mi provocano queste
domande? Perché? Te lo avevo già spiegato?
Ma queste domande sono utili alla
nostra vita oppure ci creano dei problemi, delle difficoltà?