lunedì 20 giugno 2011

Un interessante caso storico

Segnalo un caso emerso durante i lavori di ricerca per il libro di prossima pubblicazione sulla vita e le opere del vescovo ausiliario di Udine di fine Ottocento, il morsanese mons. Pietro Antonio Antivari.

Sono emersi degli elementi che fanno supporre che San Giovanni Bosco conoscesse l'Antivari e che vi fosse stima reciproca, tanto che il vescovo fece costruire a Morsano una chiesetta dedicata alla patrona dei Salesiani, Santa Maria Ausiliatrice.

Non esistono certezze e sul caso si sta ancora ricercando, tuttavia, chi fosse interessato a maggiori dettagli può trovarli su Un interessante caso storico: San Giovanni Bosco e il Morsanese mons. Antivari si conoscevano di persona?

sabato 11 giugno 2011

Giugno 2011: Le cure parentali. Esperienze, riflessioni, interrogativi. A cura di Isa e Silverio

Se è evidente per tutti la definizione di cure parentali e il carattere naturale e istintivo delle stesse , soprattutto quando indicano propriamente le cure dei genitori verso i propri figli, è sicuramente altrettanto chiaro che nel tempo le modalità, le esigenze e le difficoltà di questo compito sono mutate col mutare dell’organizzazione della società e del lavoro (inteso ovviamente nel tipo di società in cui viviamo), in particolare col passaggio dalla famiglia allargata alla famiglia nucleare e con l’estensione dell’occupazione femminile.

Se per anni le donne di casa erano deputate alla cura di bambini e anziani e potevano contare su figlie, sorelle, cognate per un mutuo aiuto in tali ambiti, l’affermarsi della famiglia nucleare e della possibilità per le donne di realizzarsi in svariate professioni ha cambiato profondamente le modalità delle cure. Certo si sono create nuove opportunità, soprattutto con la partecipazione, sempre più attiva e importante, dei padri che uscendo dai vecchi stereotipi si sono appropriati dei ruoli della cura sperimentandone le gratificazioni e arricchendo con le loro personalità l’offerta per l’intera famiglia.

Di contro sono sorte però nuove difficoltà connesse soprattutto alla conciliazione coi tempi del lavoro fuori casa e le esigenze di bambini e anziani che necessitano, non dimentichiamo, soprattutto di tempo a loro dedicato. L a solitudine della famiglia nucleare, così positiva per l’intimità e la libertà dei suoi componenti, impone una pianificazione rigida dei tempi di lavoro, assistenza, svago e, non di rado, il ricorso a figure esterne per colmare i tempi mancanti. Non secondaria è anche la frustrazione spesso generata dai timori di non fare abbastanza per le persone che necessitano di cure e dall’esigenza di affidare ad altri (intendendo per altri figure professionali deputate alla cura) parte, anche consistente, dell’assistenza.

Non ultima anche la giusta necessità di svago e di arricchimento personale (attività sportive, frequentazione degli amici, attività di volontariato, hobby personali e simili) può talvolta cozzare contro le esigenze familiari causando rinunce difficili (con tutte le conseguenze connesse) o sensi di colpa logoranti per il tempo “rubato”.

Se da una lato, quindi, le donne non sono più le uniche a sostenere i compiti della cura e dell’assistenza (anche se ricordiamo che in molti casi sono ancora loro ad averne il peso maggiore), dalla’altro è divenuto indispensabile “incastrare” questo compito primario tra tanti altri compiti con qualche ovvia difficoltà. Sovraffaticamento, frustrazione, annullamento della propria individualità sono rischi effettivi di quello che è appunto un compito naturale, ricchissimo di aspetti positivi e gratificazioni.

L’esperienza di Silverio

Appartengo a una generazione che nel proprio vissuto ha constatato come gran parte delle persone anziane fossero accudite dai propri familiari e che quindi il problema assistenziale, oggi molto diffuso, fosse meno sentito dalla società in generale. Nei casi in cui c’era la necessità di un intervento esterno perché le persone da aiutare non avevano famiglia, o poichè non l’avevano formata, o perché i figli erano lontani per lavoro, l’allora Ente Comunale di Assistenza, tramite la Casa di Riposo, provvedeva ad essi.

Ho sempre vissuto questo problema con molto disagio perché mi sembrava ingiusto che persone anziane, dopo una vita di lavoro, non potessero vivere con più dignità gli anni della vecchiaia a casa propria. La casa di Riposo era un Ente assistenziale che provvedeva al minimo vitale della persona anziana: la parte affettiva era lasciata al buon cuore di persone generose. In questo modo la dignità della persona ,valore primario della mia formazione al sociale, non era tutelata al massimo secondo quegli insegnamenti cristiani a cui mi ispiravo.

Posso affermare che la Casa di Riposo può essere il male minore ma era vista come l’ultima spiaggia. Con l’andar degli anni ho dovuto ricredermi perche ho incontrato dei casi davvero problematici per i parenti; cito solo il caso di una persona che ha trascorsi paralizzato a letto gli ultimi 12 anni della propria vita. Questo certo è un caso limite, ma credo che attualmente non siano molte le famiglie che possono permettersi di assistere una persona anziana perché la composizione attuale della famiglia lo rende oggettivamente molto problematico, quasi improponibile.

Oggi la Casa di Riposo non è più quella: è diventata un ente di cura della persona che mette a disposizione un’ assistenza alberghiera e sanitaria di prim’ordine. Nella società attuale è molto diffusa inoltre l’assistenza domiciliare tramite badanti che per la disponibilità che danno, permettono a tante persone anziane di continuare a vivere nella propria casa tramite un’assistenza che può essere a ore o a tempo pieno secondo le necessità.

Per quanto riguarda l’attualità in cui tutta la mia famiglia si trova oggi coinvolta, da qualche anno la mamma di Isa è ospite fissa a casa nostra. Ha da poco compiuto 91 anni e pur presentando uno stato di salute non ottimale si può dire che è una persona con intatte le sue capacità intellettive che sono sempre state notevoli. Se per qualche verso il peso degli anni si fa sentire, si può dire che siamo fortunati in quanto, grazie al mio stato di pensionato possiamo, permetterci di farla sentire a casa sua, come è stato del resto per noi quando, per festività e ferie, eravamo ospiti a casa sua. Io soprattutto posso concretizzare quei principi e valori che sempre ho ritenuto fossero l’ideale per sostenere persone anziane anche perché in questo momento non posso dimenticare quello che Isa, a suo tempo, ha fatto per mia madre, rimasta vedova quando io ero bambino, e avanti con gli anni ha avuto bisogno di essere aiutata e assistita. Attualmente siamo alle prese con pratiche che riguardano tutte le famiglie che assistono i loro anziani per avere, ad esempio, delle agevolazioni per poter acquisire una carrozzella che aiuti la mobilità, che renda possibile qualche permesso dal lavoro per eventuali visite, l’acquisto di materiale per problemi legati all’incontinenza e altre cose che al momento non conosco ancora bene.

L’esperienza di Isa

Non riesco a sentirmi serena se penso solo a me stessa, ai miei bisogni, ai miei desideri: per stare bene devo cercare di far star bene chi mi è vicino o almeno devo provarci.

Sicuramente l’empatia è un sentimento con il quale convivo quotidianamente e che mi è stato trasmesso dai miei genitori e in generale dalla cultura del mio paese di origine dove la comunità condivideva in modo aperto e tangibile le gioie ma soprattutto i dispiaceri delle persone che ci vivevano accanto.

Per questo quando ti ho incontrato ho trovato subito molti punti in comune con te: uno di questi è che proviamo gioia se possiamo sentirci utili. Fin dai primi anni del nostro matrimonio questo aspetto ci ha aiutato a superare momenti difficili nei quali la nostra disponibilità è stata più volte messa alla prova.

La cura dei nostri bambini ci ha coinvolto con entusiasmo, mi sembra di ricordare che mai ne abbiamo sentito il peso o la sensazione che le loro esigenze togliessero qualcosa a noi. Sei e sei stato un bravo papà, sempre attento e presente nonostante fossi molto impegnato nel lavoro e nel sociale. Sicuramente quando erano piccoli sapevi essere più paziente e meno brontolone: ricordo il tuo atteggiamento sempre ottimista e positivo in ogni circostanza. Mentre li vedevamo crescere, i nostri sforzi maggiori li abbiamo rivolti alla partecipazione attiva a tutte le realtà che li riguardavano: scuola, sport,tempo libero.

Il periodo dell’adolescenza è stato sicuramente più impegnativo: tante discussioni e tanta pazienza per trovare un modo sereno per capirci e per non alzare barriere. Talvolta mi sono sentita sola in queste battaglie perché tu assumevi un atteggiamento più rigido ed intransigente mentre io cercavo di mantenere con i ragazzi un dialogo più aperto.

Con i figli divenuti maggiorenni, abbiamo trascorso alcuni anni di grande libertà: non abbiamo perso occasione per dedicarci alle nostre passioni e ci è sembrato di tornare ai primi tempi del nostro rapporto. Il detto dice: “figli grandi,pensieri grandi “ ma i nostri figli ci hanno dato e continuano a darci grandi soddisfazioni. Gli aspetti più importanti sono constatare che sono cresciuti “teste pensanti” e vederli affrontare la vita quotidianamente con entusiasmo e serietà nel portare avanti i loro impegni. Adesso le discussioni tra noi sono pacate e posso dire con orgoglio che ammiro il loro modo di affrontare le sfide del presente. Credo comunque che abbiano ancora bisogno del nostro aiuto e della nostra presenza, ma per noi poter condividere le nostre preoccupazioni e confrontarci su tutto è un grande sostegno .

Da quasi tre anni la nostra vita in famiglia è cambiata: Marta si è sposata e nella sua camera ha trovato posto la nonna Vittoria. La presenza della mia mamma, ormai molto anziana e bisognosa di cure, ci coinvolge e ci impegna quotidianamente. Abbiamo organizzato le nostre giornate in modo tale che rimanga sola il minor tempo possibile: anche di questo ti sono tanto grata perché tu che hai maggiore disponibilità di tempo sei il più condizionato, ma ti dimostri sempre disponibile e non ce lo fai mai pesare. La tua esperienza, per aver lavorato molti anni a contatto con gli ammalati, ti rende sensibile e attento alle sue esigenze perciò, quando a causa del lavoro non posso essere a casa, sono tranquilla. Per il momento affrontiamo questo impegno con molta serenità anche perché la nonna Vittoria è una persona mite e sempre grata di tutto quello che riceve. Penso però che siamo noi coloro che ricevono di più in questo rapporto: la sua saggezza, il suo affetto , la serenità che sentiamo per averla vicino e, soprattutto, il dover recuperare, in un mondo così frenetico e incalzante, il valore della lentezza. Il fatto di assecondare i suoi tempi ci invita ad andare più piano con tutti i benefici che questo comporta: la riflessione, la memoria e il recuperare il senso e l’insegnamento del passato.

====================

Spunti di riflessioni

E interrogandoci sul tema delle cure parentali sono sorti tra di noi degli interrogativi, degli spunti di riflessione che vorremo condividere per discuterne insieme:


Pensando ai figli...

- Il legittimo desiderio di dare il meglio ai figli non rischia forse di togliere loro valori importanti come la semplicità, lo sforzo della volontà, il sacrificio, la difficoltà di conquistarsi ciò che desiderano? Quanto togliamo loro nel tentativo di dare tutto?

- Il generale cambiamento degli stili educativi verso atteggiamenti assertivi, verso la compartecipazione dei bambini alle decisioni familiari e alla spiegazione di ogni scelta ha prodotto solo effetti positivi? Considerato che studi specifici dimostrano i problemi causati ai bambini, sempre più viziati, dal permissivismo e dal buonismo pedagogico non ci sarà forse qualcosa da rivedere?

- Come stabilire un necessario confine tra la cura dei figli e l’ascolto delle loro esigenze e l’attenzione ai bisogni nostri e della coppia? Come essere buoni genitori senza dimenticare di essere individui e parte di una coppia?

Pensando alla cura di genitori anziani, di malati e/o disabili...

- Esiste il rischio concreto che la cura dei nostri cari in difficoltà sia talmente totalizzante da logorare. La possibilità di un vero e proprio “burn out” (inteso come esito patologico di un processo stressogeno che colpisce le persone che esercitano professioni d'aiuto, estendibile però anche alle cure parentali) va considerata: può essere gestita stabilendo dei parametri rispettosi anche delle esigenze di chi si occupa della cura?

=============================
Spunti dalla Bibbia

Dal libro del Siracide (3, 2-6. 12- 14)

Il Signore vuole che il padre sia onorato dai figli,
ha stabilito il diritto della madre sulla prole.
Chi onora il padre espia i peccati;
chi onora la madre è come chi accumula tesori.
Chi onora il padre avrà gioia dai propri figli
e sarà esaudito nel giorno della sua preghiera.
Chi onora il Padre vivrà a lungo;
chi obbedisce al Signore dà consolazione alla madre.
Figlio, soccorri tuo padre nella vecchiaia,
non contristarlo durante la sua vita.
Anche se perdesse il senno, compatiscilo
e non disprezzarlo, mentre sei nel pieno vigore.
Poiché la pietà verso il padre non sarà dimenticata,
ti sarà computata a sconto dei peccati. Noi abbiamo ricavato soprattutto questo:

-ONORARE non è una questione formale ma indica una sollecitazione ad agire
-RECIPROCITÁ: se noi onoriamo i nostri genitori diamo un buon esempio ai nostri figli e più facilmente un domani “raccoglieremo” la loro solidarietà.
-GRATUITÁ del dare ai genitori: avremo comunque la grazia della loro gratitudine.

===================
Prima di salutarci…

Preparando questa serata, mi è tornato in mente un passo di Questa storia di Alessandro Baricco nel quale è riportata l’immaginaria lettera al padre di un giovane soldato che si trova al fronte di Caporetto. In un momento così estremo, penso che una persona ricordi ciò che è stato più importante nella sua vita ed è quindi molto significativo ciò per cui il protagonista ringrazia il padre. Le sue parole testimoniano la semplicità e, nello stesso tempo, la grandezza delle piccole cose che un genitore fa per un figlio e il segno indelebile che possono lasciare i gesti apparentemente più insignificanti.

E infatti, non è tanto nelle azioni straordinarie che si dimostrano la cura e l’attenzione per le persone care quanto nella quotidianità, nella continuità e nell’autenticità dei gesti spontanei.

“Padre, vi ringrazio. Grazie per avermi accompagnato al treno, il mio primo giorno di guerra. Grazie del rasoio che mi avete regalato. Grazie per le giornate a caccia, tutte. Grazie perché casa nostra era calda, e i piatti senza incrinature. Grazie per quella domenica sotto il faggio di Vergezzi. Grazie per non aver mai alzato la voce. Grazie per avermi scritto ogni domenica da quando sono qui. Grazie per avermi lasciato sempre aperta la porta quando andavo a dormire. Grazie per avermi insegnato ad amare i numeri. Grazie per non aver mai pianto. Grazie per i soldi infilati nelle pagine del sussidiario. Grazie per quella sera a teatro, voi ed io, come principi. Grazie dell’odore di castagne, quando tornavo dal collegio. Grazie per le messe in fondo alla chiesa, sempre in piedi, mai in ginocchio. Grazie di aver indossato l’abito bianco, per anni, il primo giorno d’estate. Grazie per la fierezza e la malinconia. Grazie per questo nome che porto. Grazie per questa vita che stringo. Grazie per questi occhi che vedono, queste mani che toccano, questa mente che comprende. Grazie per i giorni e gli anni. Grazie perché eravamo noi. Mille volte grazie. Per sempre.”

(A. Baricco, Questa storia, Feltrinelli, p.82)