La scelta del tema di questa serata ci è venuto a seguito di diverse riflessioni e discussioni avvenute in questi ultimi tempi.
1. Si parla molto di crisi (il tema della crisi era un altro argomento che avevamo ipotizzato) e una frase che spesso risuona di questi tempi è “In questo periodo di crisi, se hai un lavoro ringrazia e tienitelo stretto senza farti venire strane idee per la testa”. Sembra sottointeso che la maggior parte delle persone faccia un lavoro con il solo scopo (o lo scopo principale) di portare a casa uno stipendio. Unico rifugio sembra essere il fine settimana, i 15 giorni di ferie in agosto e la (sempre più incerta) pensione finale. Ma deve davvero essere così? Si può, invece, trovare motivi di soddisfazione ed esprimere pienamente se stessi nel lavoro qualunque esso sia o in altre attività? La società ci misura sui risultati (principalmente economici) che riusciamo a portare; ma è solo in questo che possiamo far fruttare i nostri talenti? E una seconda provocazione che ci poniamo: è proprio vero che, se sentiamo che i nostri talenti e le nostre passioni ci potrebbero portare “altrove”, in questo momento è meglio tenersi stretto quello che abbiamo e basta? Realismo o paura? Saggezza o ripiego?
2. Un altro stimolo recente ci è giunto qualche settimana fa a pranzo da amici; tutti e 4 laureati da una decina d’anni o poco più (eravamo tutti in classe insieme al liceo), ci chiedevamo quali fossero le scelte migliori per i nostri figli. Pensando all’università (eventualmente ancora lontana per le nostre figlie) si sente spesso il suggerimento di puntare su certe facoltà “che ti garantiscono un lavoro” piuttosto che su altre. Ma esiste davvero una scelta migliore “a priori”? Come insegnato dalla parabola dei talenti, ognuno di noi è unico ed è chiamato a sviluppare in modo originale le proprie attitudini e capacità. Alcuni svolgono lavori perfettamente in linea con gli studi svolti, mentre altri seguono percorsi diversi (è così per molte mogli/mamme?). E ci colpisce molto quante persone fanno cose (lavoro o altro che sia) che li riempiono di significato (chiamiamolo successo?) ma che non hanno alcuna attinenza con il loro percorso formativo “canonico”.
In un’omelia di qualche mese fa riferita al brano della Genesi in cui Dio invita Abramo a lasciare la sua terra per trovare la terra promessa, Don Angelo aveva centrato il cuore della questione:
C’è una domanda che spesso rivolgiamo a giovani e ragazzi, una domanda che spesso finisce con l’infastidirli: “Che cosa farai quando sarai cresciuto?”. Una domanda che sottende una preoccupazione principalmente economica. Essenzialmente gli chiediamo quale lavoro vorrebbero fare per assicurarsi stabilità e felicità … quasi che la realizzazione di una persona potesse semplicemente dipendere dal suo lavoro e dal suo guadagno … Dovremmo, io credo, cambiare il tipo di domanda. Dovremmo chiedere: “Che tipo di uomo o donna vorresti essere domani?”
Con una simile domanda la prospettiva cambia totalmente: capace di amare o tutto ripiegato su se stesso? Libero o schiavo delle cose? Nascosto per nascondersi dagli altri o aperto ai loro bisogni? Credente o no?
Chiedere non “che cosa farai” ma “chi sarai” cambia tutto.
E la felicità, la realizzazione di sé, ha le sue radici dentro di noi, negli atteggiamenti che saremo capaci di maturare, non nelle cose, non nel nostro lavoro …
In questa serata di Camminare Insieme vorremmo, insieme a voi, interrogarci su questo tema, sia riferito all’educazione dei nostri figli, sia a noi stessi, alle nostre scelte, al significato che diamo a quello che facciamo.
Per guidarci in questo lavoro, oltre alle riflessioni sopra riportate, abbiamo scelto due “contributi multimediali”:
- la canzone “Father and son” di Cat Stevens
- una raccolta di scene tratte dal film “L’attimo fuggente” (Dead Poets Society) con Robin Williams
Vi proporremo, poi, un passaggio molto significativo del Vangelo: la parabola dei talenti, dalla liturgia della scorsa domenica.
Lasceremo, quindi, spazio aperto alle nostre riflessioni, proponendo alcune domande solo come spunto per la discussione e per la possibile riflessione individuale (le leggiamo insieme dopo la lettura del Vangelo).
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Domande guida alla riflessione
Anche senza fare un lavoro che mi piace, o restando a casa, posso esprimere i miei talenti e trovare significato in quello che faccio?
Matrimonio, figli e responsabilità familiari mi hanno fatto cambiare prospettiva rispetto al desiderio di scoprire e seguire le mie passioni?
Dalla scuola all’ambiente lavorativo, tutto tende all’omologazione (impari la lezione, fai bene gli esercizi, “funzioni” nel meccanismo): qual è la tua esperienza?
È giusto che come genitori indirizziamo (interferiamo?) le scelte dei nostri figli in merito alla scuola da scegliere (in particolare per le superiori e l’università) e al percorso lavorativo da seguire? Esiste per loro una scelta “ottima”?
Ognuno di noi ha fatto delle scelte in tal senso. Quali criteri e/o condizionamenti mi hanno guidato in queste scelte?
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Mt 25, 14-30
Dal Vangelo secondo Matteo
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola:
Un uomo, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, a ciascuno secondo la sua capacità, e partì.
Colui che aveva ricevuto cinque talenti, andò subito a impiegarli e ne guadagnò altri cinque. Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone. Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò, e volle regolare i conti con loro. Colui che aveva ricevuto cinque talenti, ne presentò altri cinque, dicendo: Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque. Bene, servo buono e fedele, gli disse il suo padrone, sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone.
Presentatosi poi colui che aveva ricevuto due talenti, disse: Signore, mi hai consegnato due talenti; vedi, ne ho guadagnati altri due. Bene, servo buono e fedele, gli rispose il padrone, sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone.
Venuto infine colui che aveva ricevuto un solo talento, disse: Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso; per paura andai a nascondere il talento sotterra: ecco qui il tuo. Il padrone gli rispose: Servo malvagio e infingardo, sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a chiunque ha sarà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha. E il servo fannullone gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti.