La comunicazione è l'abilità di esprimersi e di ascoltare. È il mezzo con cui ci esprimiamo reciprocamente. Dialogare, forse è più naturale, più sciolto, più intimo… un’accezione più personale… Il termine dialogo (dal greco dià, "attraverso" e logos, "discorso") indica il confronto verbale tra due o più persone, mezzo utile per esprimere sentimenti diversi e discutere idee contrapposte.
Dialogare = comunicare.
La comunicazione non è fatta solo di parole. Comunichiamo con i gesti, con le espressioni del nostro viso, del corpo; anche con i silenzi… e lo facciamo sempre, in tutte le situazioni: al lavoro, a scuola, in famiglia… naturalmente i contesti sono diversi e anche comunicare - dialogare può essere, o è, diverso. Parliamo di figli per cui è naturale parlare della famiglia. Nella comunicazione familiare il dialogo, l'ascolto, l'attenzione sono gli elementi fondamentali per la crescita, lo sviluppo e la maturità dei figli.
Un aspetto fondamentale della comunicazione in famiglia è l’apertura al dialogo, infatti, è possibile uno sviluppo più armonico e sereno se c’è maggiore confidenza con i genitori e se si creano situazioni in cui è possibile per ognuno raccontare le proprie esperienze, quanto accade durante la giornata.
Per instaurare una comunicazione efficace è importante partire da una dimensione di ascolto, prestando attenzione alle emozioni e alle opinioni che i figli possono esprimere.
E' una modalità di comunicazione che va costruita quotidianamente, con pazienza e attenzione, cominciando dai primi scambi verbali e non verbali. La famiglia è il nucleo fondamentale nella vita di ognuno, il luogo in cui si nasce, si cresce e si gettano le basi per la propria vita relazionale. Passare dalla vita individuale, a quella di coppia e famigliare è sicuramente faticoso. La nascita di un figlio è certamente un momento di grande gioia, ma può comportare profonde trasformazioni sia a livello individuale sia nelle dinamiche della coppia, che è diventata famiglia e che deve imparare a relazionarsi con un nuovo membro. I primissimi anni del bambino sono una fase particolare. Papà e mamma sono costretti a ridefinire il proprio legame in virtù del nuovo arrivato e a creare uno spazio, fisico e mentale, per il proprio figlio. Inoltre, si trovano alle prese con un “mestiere” nuovo, con tutti gli interrogativi e i dubbi legati al proprio modo di essere genitore. Quando i bambini sono piccoli è importante la funzione e la modalità della comunicazione - numero di scambi, varietà di segnali, ricchezza del linguaggio - per aiutarli a sviluppare il linguaggio, le competenze comunicative e l’intelligenza.
E' fondamentale prendere seriamente quello che dice il bambino, che ha bisogno di essere ascoltato attentamente e non superficialmente.
L'essere sempre interrotto o criticato non gli permette di acquisire sicurezza nei suoi stessi pensieri e di sviluppare un buon livello di autostima, ma anche, dargli sempre ragione, lasciarlo parlare continuamente quando ha bisogno di essere contenuto, non gli permette di sviluppare un proprio senso critico e la capacità di interpretare in modo obiettivo ed equilibrato un evento, una situazione, un argomento, ecc.
Il sostegno maggiore è dato dall'essere ascoltato fino in fondo, dal sentirsi compreso, appoggiato e contenuto e dalla possibilità di confrontarsi con l'adulto quando questi ha un'opinione diversa dalla sua. Anche gli anni successivi del passaggio alla preadolescenza o all’adolescenza sono periodi di profondi sconvolgimenti per i ragazzi, che si trovano a dover fare i conti con grossi cambiamenti a livello corporeo, che si ripercuotono sul loro modo di vedersi e di relazionarsi con i coetanei e con i genitori. La conflittualità tra i bisogni di autonomia e di protezione dell'adolescente si esprimono all'interno della famiglia attraverso nuove e diverse forme di comunicazione sia verbali ( silenzi, aggressività verbale, conflitti, provocazioni) che non verbali (modo di vestire, di atteggiarsi, di gestire gli spazi personali…)
La fase dell'adolescenza, caratterizzata da comportamenti che vanno dalla solitudine all'irrequietezza, dal rifiuto delle regole familiari (fino ad allora accettate) al rifiuto scolastico, dalle nuove richieste ed esigenze relative al desiderio di avere il motorino, di andare in discoteca, di non avere orari da rispettare, comporta delle irregolarità di condotta nel contesto familiare, che rischiano di compromettere in modo drastico la comunicazione all'interno della famiglia. La comunicazione fra genitori e figli può, quindi, diventare difficile, i genitori possono sentirsi insicuri, poco informati, e i figli possono sentirsi incompresi, non ascoltati, e non trovare argomenti da condividere con i genitori.
I genitori si interrogano su molti punti: dove abbiamo sbagliato; perché si rivolta così contro di noi? Perché è così svogliato, testardo, irascibile, taciturno? Non riusciamo più a capire cosa vuole, non riusciamo più a farci ascoltare. Perché si comporta così? Come dobbiamo comportarci? Perché i miei figli sono così diversi tra loro quando ci siamo comportati con entrambi allo stesso modo?... Per i genitori è importante essere flessibili e cambiare le modalità di comunicazione nelle diverse fasi mantenendo una qualche forma di controllo sui figli, stando attenti ad essere chiari e coerenti: I figli hanno bisogno di sapere cosa aspettarsi come conseguenza dei loro comportamenti. I genitori possano cambiare idea, ma la cosa importante è che i figli provino un senso di certezza e di prevedibilità. Bisogna motivare i comandi, porre limiti ragionevoli e fidarci dei nostri figli. E’ fondamentale una fiducia di fondo, associata a caute indagini fatte chiedendo direttamente a loro, in maniera tranquilla. Nutrire aspettative sufficientemente alte, aiutare con discrezione. Bisogna sottolineare che un genitore che si apre al dialogo con i figli deve continuare a rivestire il suo ruolo di genitore e mantenere la sua autorevolezza. L’errore che spesso si fa è di porsi sullo stesso piano, come se si fosse “amici”. Lo stile genitoriale autorevole (quando i genitori controllano, si aspettano comportamenti maturi, dialogano e sono caldi) si è rivelato maggiormente opportuno per la crescita dei figli.
Ci piace alla fine riportare questa opinione che abbiamo trovato e che riassume, chiarifica e ci fa sorridere…
“Solitamente il dialogo percepito dai genitori è molto diverso da quello desiderato dai figli di tutte le età.
Gli obbiettivi di entrambi sono spesso in opposizione, quindi il dialogo risulta assai difficile. Ai genitori non interessa essere "solo" informati su come i figli impiegano il proprio tempo, come procede il lavoro scolastico, quali obbiettivi hanno nella vita, ma, pretendono (giustamente) di discutere con i figli, danno giudizi su ciò che pensano, dicono, fanno.
Ai figli, importa un altro tipo di relazione: i genitori sono utili quando ascoltano le loro pene, accolgono senza critiche i loro insuccessi, approvano incondizionatamente le loro richieste e, soprattutto quando finanziano ogni loro desiderio.
Tali, almeno, sono i giudizi sui rapporti con i genitori che circolano tra gli adolescenti. Ma è questo il vero compito dei genitori? A che serve il dialogo?
Secondo me l'educazione alla vita è un dono dei genitori che si arricchisce a mano a mano che i figli affrontano situazioni sempre più complesse e più varie con la crescita.
Se al bambino di un anno si insegna a camminare perché acquisti autonomia, al figlio che cresce va insegnato tutto ciò che contribuisce a rendere autonomi non solo il corpo, ma anche la sua mente, la sua anima, i suoi sentimenti. E' vero che la scuola sviluppa le capacità intellettive, ma quante cose ed esigenze dell'essere in crescita non possono ricevere soddisfazione dalla scuola! Chi li educa a perseguire i valori della vita? Chi li impegna e li sprona nel conseguire i propri ideali? Chi individua i talenti e i pregi nell'adolescente? Chi può adoperare premi e castighi? Chi può insegnare a percepire le cose del mondo, la sofferenza dei più deboli, l'onestà, l'amore, ecc..?
Tutto ciò è compito specifico dei genitori e l'educazione senza dialogo non è possibile.
Ma l'interferenza ambientale in tale campo è stata assai penetrante; ogni genitore sa che non può imporre la sua volontà perché ne ha l'autorità e/o perché si considera sempre nel giusto: il genitore adesso deve persuadere il figlio che ciò che chiede, non più ordina, è un bene per lui e anche per gli altri. Questa trasformazione di rapporti genitori-figli è un bene per lui e anche per gli altri.
Ma questa "trasformazione" dei rapporti tra genitori-figli non è facile.
Il ragazzo per sua natura vuole ciò che gli piace, che costa poca fatica, che è attraente ed aumenta il suo prestigio presso gli amici: perciò il suo dialogo con i genitori mira in maniera più o meno diretta per raggiungere questi obbiettivi.
Purtroppo molti genitori si stancano di persuadere i figli, oppure sono troppo presi con il lavoro per dedicare qualche ora di dialogo con i propri pargoli ed il risultato è che spesso cedono a queste pretese.
I genitori si trovano di fronte a degli estranei, spesso non possono nemmeno chiedere con chi e dove vanno i propri figli; si sentono confusi e poco influenti sulla vita di questi ragazzi che si dimostrano già adulti...
Ovviamente la società in sé non li aiuta, anzi, la pubblicità esorta sin dalle età più giovani a comprare comprare e comprare... Quando andavo a scuola io, elementari/medie, non mi importava cosa mi faceva indossare mia madre... E nemmeno gli altri miei compagni erano interessati a ciò... Il regalo più ambito era la bicicletta... la mitica BMX ! Ora, se li guardate bene, sono tutti firmati dalla testa ai piedi e con il cellulare! Al dialogo si sono sostituite le cose. Io, ancora adesso a 25 anni, mi trovo alla sera (come pure mia sorella) a discutere con i miei genitori di tutto, dai fatti di cronaca alla mia giornata lavorativa, dai problemi di vita quotidiana a cosa mettere per la fiera... Parliamo di tutto... Certo, il mestiere di genitore è sempre stato difficile, ma se questi sono pure "vaganti" (spesso, ovviamente, per necessità), il problema degenera: figli che chiedono consigli a coetanei (che ne sanno meno del meno) o a persone estranee… Eppure, io sono convinta che nessuno (né nonni, né istituzioni, ecc..) nessuno possa educare alla vita come i propri genitori... Certo sbagliano anche loro, chi non lo fa? Però i genitori, anche se sbagliano, spesso lo fanno per il nostro bene. Bisognerebbe avere più tempo da dedicare ai propri figli, spegnere la TV e colloquiare su tutto... Senza che i genitori si sentano dei maestri, ma delle persone affidabili, pronte all'ascolto e ai consigli (no giudizi), pronte anche a sgridare, ma sempre per il bene dei propri figli. I figli abbandonati a se stessi, non sono persone peggiori rispetto ad altre, ci mancherebbe! Però sono sicura, che nel loro io, a volte rimpiangono la mancanza di colloquio con i propri genitori, rimpiangono anche qualche sgridata in più o anche qualche diverbio (io ne ho spesso e volentieri)... Approfittiamo dei piccoli momenti di tempo per chiacchierare con i nostri genitori/figli, impariamo ad ascoltarci e a capirci.
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Dal vangelo secondo Luca (Lc 2, 40-52)
I suoi genitori si recavano tutti gli anni a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono di nuovo secondo l’usanza; ma trascorsi i giorni della festa, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. Credendolo nella carovana, fecero una giornata di viaggio, e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme. Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai dottori, mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l’udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte. Al vederlo restarono stupiti e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto così? Ecco, tuo padre ed io, angosciati, ti cercavamo». Ed egli rispose: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». Ma essi non compresero le sue parole. Partì dunque con loro e tornò a Nazareth e stava loro sottomesso. Sua madre serbava tutte queste cose nel suo cuore. E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini.
Maria e Giuseppe cercano Gesù per tre giorni e quando lo trovano ci aspetteremmo che gli facciano una bella sgridata. Invece la situazione si capovolge; sembra che sia Gesù a essere risentito e seccato che i genitori lo abbiano cercato tanto; Lui dice che deve occuparsi delle cose del Padre suo. A volte non capiamo i nostri figli; anche nel Vangelo si dice: “Non compresero il significato di queste parole”, però le accettano. Anche noi possiamo accettare di non comprendere i nostri figli, di accettarli come persone che ad un certo punto possono decidere da soli. La frase centrale: “Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?” ci interroga su che comportamento avere in queste situazioni. Anche se sosteniamo il contrario, spesso abbiamo in mente un percorso ben definito per i nostri figli e facciamo fatica ad accettare che le cose vadano diversamente. Di solito, i genitori sentono il dovere di insegnare ai propri figli, ma attenzione a non travalicarli. Se vogliamo incontrare i nostri figli il presupposto deve essere l’ascolto a loro dedicato. Per ascoltare occorre fare silenzio, soprattutto un silenzio interiore.
L’esempio supremo di capacità di ascolto è Maria che ascoltava Gesù in silenzio. Il suo era un silenzio meditativo in cui si interrogava su ciò che veramente suo Figlio voleva dire con parole ed atteggiamenti. Questo silenzio ci colpisce e ci serve come allenamento per scoprire e conoscere i nostri figlie rimanere stupiti della loro ricchezza: tutto questo allo scopo di educarli! Non è sufficiente voler bene a un figlio, ma bisogna trovare il giusto canale comunicativo affinché il figlio senta questo nostro bene. I momenti difficili esistono per tutti i genitori: quante lamentele, quante necessità, quanti sfoghi, quanti capricci da parte dei figli che vanno sempre accolti con amore. L’atteggiamento deve essere improntato all’umiltà che non significa affatto essere deboli: ascolto mio figlio, lo accolgo e medito su quello che mi ha detto per capirlo sempre più (pensiamo all’accoglienza e alla meditazione di Maria per Gesù!).
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Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 5,13-19)
«Voi siete il sale della terra; ma se il sale perdesse il sapore, con che cosa lo si potrà rendere salato? A null'altro serve che ad essere gettato via e calpestato dagli uomini. Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città collocata sopra un monte, né si accende una lucerna per metterla sotto il moggio, ma sopra il lucerniere perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli».
Gesù chiede a tutti i cristiani di essere un “riflesso” dell’amore di Dio e di trasmettere questo valore fondamentale, che è l’amore, a quanti incontriamo. Questa “missione”, testimoniare l’amore e insegnare ad amare, ce l’hanno prima di tutto i genitori nei confronti dei loro figli. Attraverso il dialogo possiamo essere luce e sale per i nostri figli.
Dal vangelo secondo Luca (Lc 11, 1-4)
Gesù si trovava in un luogo a pregare; quando ebbe finito, uno dei suoi discepoli gli disse: «Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli». Ed egli disse loro: «Quando pregate, dite:
Padre,
sia santificato il tuo nome,venga il tuo regno;
dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano,
e perdona a noi i nostri peccati,
anche noi infatti perdoniamo a ogni nostro debitore,
e non abbandonarci alla tentazione».
Gesù ci insegna a pregare, ad avere fiducia e rivolgersi al padre come figli. La preghiera diventa un dialogo supremo ed interiore.
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Domande
- Come è stato il dialogo con i miei genitori da figlio/a?
- Noto il ripetersi di un certo stile ora che sono io genitore o piuttosto faccio o cerco di fare il contrario?
- Trovo difficile affrontare certi argomenti o situazioni? Se sì quali?